giovedì 11 settembre 2014

Un freno al business del biogas

fotografia di Fabrizio Bellachioma
Dall'ultimo numero de "Il Chinino" di Agosto 2014.

Agri Cult è la rubrica che conduco sul free press di Pontinia.

Lo stop alle cupole verdi arriva dall’amministrazione comunale con la delibera numero 23 del 10 luglio 2014, che mette un freno al proliferare degli impianti Biogas. Potranno essere prese in considerazione e valutate le biomasse derivanti per oltre il 50% in termini di peso, dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali. Per poter generare energia da un digestore Biogas, c’è bisogno di una sostanza organica (biomassa) da accumulare dentro una cisterna in cemento (la cupola verde) in assenza di ossigeno. Per biomassa si intende qualsiasi materiale organico: liquami e letame bovino, suino e avicolo, legno verde triturato, scarti della lavorazione agro-industriale, coltivazioni vegetali dedicate o residuali, compresi i fanghi di depurazione fognari e industriali e la frazione umida dei rifiuti solidi urbani. La biomassa viene distrutta dai batteri creando così il Gas (Ch4, H2S, O2 e Co2), metano al 55%. Il gas prodotto viene bruciato a 800/900°C, sprigionando nanoparticelle Pm 2,5 e tanti altri elementi nocivi per la respirazione umana. Un motore fa girare la turbina e da questa energia. Il materiale inserito quando perde la sua azione per gli addetti ai lavori è un sottoprodotto, un ammendante di elementi minerali: azoto, fosforo, potassio, per le regole Europee è un rifiuto speciale che va trattato con metodi di compostaggio e solo successivamente integrato nei terreni come ammendante. Quasi tutti gli studi agrari confermano che il digestato (il rifiuto a fine processo) è un buon ammendante per le coltivazioni, altri professori universitari, per esempio Michele Corti, docente di zootecnia montana all'università degli studi di Milano, autore del blog: sgonfiabiogas, lancia un grido d’allarme ai dirigenti delle Asl. “La fermentazione anaerobica favorisce la produzione di batteri sporigeni come il Clostridium Botulinum, Salmonella ssp., Lysteria monocytogenes e Escherichia coli”. Continua: “Il processo di pastorizzazione non basta, c’è sempre il rischio che i Clostridi possono sopravvivere e colonizzare i terreni, causando infezioni nelle ferite di animali, come accadde in Svezia con il Costridum Chauvoei fautore della zampa nera. Gli elementi chimici e batteriologici contenuti negli sversamenti dei digestati sui terreni, specialmente quando questi sono saturi di acqua, filtrano nelle falde e nei canali d’irrigazione, provocando l’inquinamento delle acque. All’interno dell’impianto oltre agli escrementi degli animali, vengono inserite coltivazioni cerealicole ricche di zucchero, esperimenti d’ibridazione genetica Hi-Tech: in primis il mais delle grandi Multinazionali Americane e Francesi. Per il mantenimento di un impianto a biogas da 50 Kwe (Kilo Watt elettrici) servono 3 tonnellate di mais giornaliero, 20 ettari di superficie solo per il digestore, così affermano i biogassisti del nord Italia sul forum on-line di agraria. Da questi ettari, devono uscire due cicli di mais più altre coltivazioni “energetiche” annue, senza dimenticare le coltivazioni per l’alimentazione del bestiame in fattoria. Per darvi un’idea delle quantità che occorrono, le aziende agricole che vogliono ottenere energia dai loro campi, devono sfruttare all’osso i loro terreni, con tutti i rischi del caso compreso il depauperamento, lavorare per alimentare un digestore e sostenere spese aggiuntive per il trasporto della materia organica sia in uscita che in entrata, oltre all’acquisto dall’esterno di biomassa aggiuntiva. E se poi gli incentivi finissero? La nuova regola introdotta dal consiglio comunale è un primo passo che limita marginalmente il boom del biogas. L’inserimento della clausola crea una linea direttrice per chi può e chi no. La strada si divide tra piccoli impianti di autosufficienza da 10 Kwe a situazioni più grandi per chi vuole farne un business, vista la nuova regola che non specifica se l’affitto di altri terreni è da considerarsi parte del fondo. La commissione agricoltura del Comune di Pontinia che si incontrerà a breve, dovrà lavorare sodo per iniziare finalmente a strutturare e salvaguardare un territorio che rischia di cadere nella bolla speculativa degli affitti, cambiando il mercato dei prodotti alimentari per l’allevamento. E’ arrivata l’ora per i politici di correre dietro a progetti più vicini alle persone e meno alle industrie e di salvaguardare quei pochi caseifici che rimarranno dopo il boom del biogas.