giovedì 5 settembre 2013

Le sfumature del Rosso Pomodoro

Agri Cult settembre 2013 
Il Chinino

Ci sono tradizioni che rimangono nel bagaglio culturale come ancore di salvataggio, è il caso della festa che riunisce famiglie, parenti e vicini di casa nel periodo estivo. La festa in questione è un momento di produzione alimentare domestica, la passata di pomodoro. 

Conserva o pomodori, senza dimenticare tutte le discendenze linguistiche autoctone “conserua” in setino, “pomidori” in veneto, “tomat” in friuliano, “pomdom” in ferrarese, sono questi i modi per definire qui nell’Agro Pontino l’esperienza di “Home Made” che ha travalicato generazioni, sedimentandosi negli ultimi sessant’anni, nel saper fare delle famiglie pontine. Dalla Sicilia con l’influenza spagnola, il frutto Azteco originariamente di color oro (pomo d’oro), si è diffuso in tutta Italia, risalendo la penisola fin che nel 1548 a Pisa Cosimo De’ Medici riceve un cesto di pomodori nati dai semi donati alla moglie Eleonora di Toledo, dal padre, Viceré del Regno di Napoli. Si è aspettato il 1700 per introdurlo nella gastronomia. Il pomodoro è uno dei simboli culinari storici degli italiani; “Con la Pummarola N‘coppa“ cantava Aurelio Fierro. Dal sud al nord la tradizione della passata di pomodoro fatta in casa è quasi uno standard, sono poche le differenze che eccepiscono. Non serve ritrovare il manuale del cuoco Vincenzo Agnoletti, credenziere di Maria Luigia alla corte di Parma, per conoscere i metodi di preparazione. Importante è la varietà usata e la freschezza del frutto. La varietà influenza il metodo di trasformazione e di conservazione. Il San Marzano, originario del salernitano è un frutto lungo, pieno con polpa consistente, è ottimo per fare i pelati. Delicato, ha bisogno di molte cure, usato all’inizio dalle industrie, sostituto in seguito da altre varietà ibride più produttive, è stato salvato e riconosciuto “Dop” nel 1996 grazie anche agli sforzi di Slow Food. Le altre varietà usate per la conserva sono il costoluto, il tondo Roma e il cuore di Bue. Anche il Ciliegino siciliano, piccolo e tondo si adatta bene per le conserve, la procedura è simile come per i pelati. C’è chi cuoce prima il pomodoro in acqua bollente, chi invece tritura tutto a crudo, cotto successivamente nelle bottiglie o nei barattoli insieme ai pelati sopra un fuoco vivace di legna. Negli anni 50 ci racconta Armando Bellachioma originario dell’Abbruzzo, la polpa del pomodoro veniva separata dalle bucce con il metodo del mattarello su una griglia bucata, il succo poi disteso al sole su una tavola di legno si asciugava con il sale e si concentrava, in seguito veniva riposto nei barattoli. La produzione domestica era a ciclo chiuso. Dal seme al piatto senza passare per terzi, si conservano i semi per il prossimo anno e si riciclavano i contenitori di vetro. L’obsolescenza programmata non era ponderata. Nel pieno del periodo industriale, la produzione agricola del pomodoro aumentò, di conseguenza l’arte della conserva si ridusse. Oggi ritorna in voga, effetto della crisi che ci ha riportato a riscoprire i vecchi saperi. Armando ci racconta che nel dopoguerra, le piantagioni di pomodoro nell’Agro erano elevate, destinate alla prima industria di trasformazione, la Desco di Terracina. Le casse di pomodori venivano trasportate sul fiume Linea con dei battelli. La cucina cambia il nostro corpo e il territorio che abitiamo. Magari riscoprire questa usanza ci regalerà in futuro delle estati Rosse pomodoro.