mercoledì 8 maggio 2013

La battaglia dell'Acqua

Il Chinino giugno 2012
Ventisette milioni di votanti, 95% di SI per abrogare la privatizzazione del servizio idrico. A Napoli come a Parigi l’acqua torna pubblica; la Regione Sicilia prepara un ddl per tornare alla gestione pubblica, Saracena in Calabria e altri piccoli comuni affidano il servizio alle municipalizzate. Il Comune di Pontinia adottò nel 2008 due delibere, ma i documenti restano nel cassetto. 

 Ci son voluti ben 16 anni per riaffermare il diritto che i padri costituenti hanno voluto come prova di appello nei confronti di leggi approvate in Parlamento. Il voto di 27 milioni di italiani, il 12 e 13 giugno 2011 è stato più forte delle campagne astensionistiche che hanno raso al suolo il diritto di esercitare uno strumento di sovranità popolare, sancito nell’articolo 1 della Costituzione italiana. È passato un anno dalla votazione dei quesiti abrogativi, riguardanti la privatizzazione del servizio idrico integrato e le determinazioni della tariffa che permette il profitto (guadagno d’impresa). Non è bastata l’euforia dei comitati promotori a ristabilire la democrazia dopo la straordinaria affluenza(circa il 57%). L’intervento del legislatore dopo l’abrogazione dell’art. 23 bis del dl (decreto legislativo) 133/2008, ha creato una gabbia per i servizi pubblici. Con l’art. 4 del dl 138 - 13 agosto 2011 del governo Berlusconi, s’indica l’obbligo per i Comuni di cedere ai privati le aziende pubbliche, escludendo il servizio idrico dalla ventata di privatizzazioni. Anche se per un soffio la vittoria degli italiani resta in piedi, le difficoltà aumentano con il “pacchetto liberalizzazioni” del governo Monti. Il risultato è che la maggior parte delle città continua ad avere la gestione privata del servizio, facendo dello Stato italiano il emblema della prevalenza del privato sul pubblico. Questa logica non convince i cittadini che hanno votato e nemmeno gli amministratori che vorrebbero uscire dal sistema privato. «Gli investimenti che la società privata doveva fare sul nostro territorio – afferma un’insoddisfatto sindaco Eligio Tombolillo – sono stati pressoché minimi, lasciando lo scenario tecnico immutato». Il 24 maggio 2004, l’allora sindaco in carica Giuseppe Mochi, con una delibera di giunta, consegnava gli impianti di proprietà del Comune alla società privata Acqualatina. Le motivazioni del passaggio, riguardavano la mancanza di risorse economiche dei Comuni per far fronte al miglioramento del servizio. «Quando la società si presentò, pensammo che potesse fare la differenza sul territorio» ricorda Mochi, che insiste sottolineando di aver consegnato le reti idriche su un accordo fatto in precedenza: «È stato un atto dovuto – dice – un altro sindaco avrebbe fatto lo stesso». Secondo l’indagine effettuata da Cittadinanzattiva nel 2011 – l’Onlus che da 30 anni tutela i cittadini e i consumatori -, il costo medio dell’acqua raggiunge gli 0,779 euro al metro cubo (+5,3% rispetto al 2010 e +20,4 rispetto al 2007). Bollette in continuo aumento, dovuto in parte dalla mancanza di controllo sugli evasori, ma soprattutto per le scelte speculative sbagliate di Acqualatina, che ha contratto con la Depfa Bank un mutuo di 115 milioni di euro, infarcito di prodotti derivati finanziari. Inoltre, il Cda della società mista Acqualatina in 9 anni è costato 5 milioni di euro. Non abbiamo quindi bisogno di altre leggi, ma di essere operativi, in questa che si prospetta come una guerra dell’acqua. Il nostro conflitto si snoda tra le viscere dei partiti assoggettati alle richieste delle grandi multinazionali. L’accordo stipulato tra i sindaci aderenti alla conferenza e la società Acqualatina, ha creato inesorabilmente una situazione di disagio per i cittadini e per le amministrazioni. Eligio Tombolillo sperava, subito dopo il referendum, di aderire ad un’azione coordinata tra le amministrazioni per uscire da Acqualatina. Questa rimane comunque la strategia che il sindaco vuole adottare e «nel caso in cui non ci si coordini, allora la battaglia verrà fatta individualmente riprendendo le delibere». Per esempio, a Napoli la reazione è stata diversa, con la trasformazione della società per azioni “Arin” in “Acqua Bene Comune Napoli”, un ente di diritto pubblico che gestisce le risorse idriche. Lo stimolo del comitato napoletano è forte. Qui la partecipazione attiva del Padre missionario comboniano Alex Zanotelli è stata decisiva: «Le grandi multinazionali dell’acqua – afferma – stanno mettendo le mani sul bene più prezioso dell’umanità. Di tutta l’acqua, solo il 3% è potabile e di questo il 2,70% è usato nell’agricoltura industriale. Ci rimane solo lo 0,30% dell’acqua su cui c’è già una pressione enorme», conclude. Il forum italiano dei movimenti dell’acqua pubblica invita a manifestare il dissenso nei confronti del governo Monti e di chi «si ostina a non riconoscerne i risultati referendari e prepara nuove normative per consegnare la gestione dell’acqua agli interessi dei privati costruendo un nuovo sistema tariffario che continua a garantire i profitti ai gestori». Così, lo scorso 2 giugno il forum è sceso in piazza sfilando nelle vie romane per chiedere il rispetto del voto. Attraverso la campagna “Obbedienza Civile”, migliaia di comitati del movimento – anche in provincia di Latina –, stanno mettendo in pratica l’abrogazione del secondo quesito. Con la pubblicazione, avvenuta circa un anno fa, del DPR 116 è ufficiale l’abrogazione della norma che consentiva ai gestori di caricare sulle nostre bollette la componente della “remunerazione del capitale investito”, che è «pari al 7% degli investimenti», come afferma il magistrato Marco Manunta, autore del libro “Uno statuto per l’acqua”. Nella generalità dei casi, incide sulle nostre bollette per una percentuale che oscilla, secondo il gestore, fra il 10 e il 20%. Il tanto decantato spreco delle risorse degli impianti gestiti all’epoca dal “Consorzio pubblico degli Aurunci”, addicendoli a un colabrodo, non ha sortito nessun effetto: oggi, sempre secondo Cittadinanzattiva, il Lazio è settimo nella classifica delle dispersioni di rete (37%). Questo è uno dei fattori che ha fatto ricredere Giuseppe Mochi, consigliere comunale del Pdl: «Oggi ho rivisto la mia posizione – commenta – e al referendum ho votato SI sul quesito dell’acqua, ma trasformare la volontà in realtà territoriale non è facile», ammette l’ex sindaco, secondo il quale «prima bisognerebbe capire» prosegue l’ex sindaco «i meccanismi giuridici per uscire dalla società. Se fosse così facile, tanti Comuni l’avrebbero lasciata prima». Una situazione non facile dunque, come lo è per i cittadini di Pontinia, utenti di un servizio in continuo aumento (+136% rispetto alla gestione pubblica). Il 23 gennaio 2008, il consiglio comunale guidato dal sindaco Eligio Tombolillo, chiese ad Acqualatina di restituire gli impianti di proprietà comunale. Risultato: nessuna interazione tra le parti e tutto immobile fino a oggi. L’anno scorso il comitato di Pontinia per l’acqua pubblica ha raccolto le firme per il referendum della vittoria. Banchetti in piazza, iniziative pubbliche d’informazione, volantinaggi e cineforum hanno permesso di raccogliere circa 400 firme. Il quorum nazionale è raggiunto, a Pontinia hanno votato 5mila e 253 elettori (circa il 48%), soprattutto nel centro urbano. Proprio da qui riparte la marcia del comitato, a distanza di un anno dal referendum. Secondo il parere del blogger Giorgio Libralato, attivista del comitato acqua pubblica: «La questione potrebbe essere risolta con il personale interno al Comune, con la Tra.sco o con una gara pubblica». Come interverrà l’Amministrazione per vincere un’altra faticosa battaglia, questa volta contro i colossi mondiali dell’acqua? La tutela della salute e del nostro territorio viaggia in parallelo con la questione culturale. Come ha voluto affermare lo scrittore Erri De Luca: "L’acqua è un diritto universale e non una merce. Un diritto non si vende".

Articolo pubblicato su Il Chinino giugno 2012

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